lunedì 18 gennaio 2016

Buongiorno amici, sul giornale "La Sicilia" di oggi. Divieto assoluto di concimi chimici e trattamenti fitosanitari (sia durante la coltivazione che dopo il raccolto), stagionalità dei prodotti, trasparenza nella filiera e soprattutto nella formazione del prezzo. Sono i “pilastri” su cui si fonda l’agricoltura bioetica: evoluzione del biologico che – per essere realmente tale – deve scrollarsi di dosso tutte le contraddizioni da cui oggi è gravato. Così la pensa un gruppo di coltivatori delle province di Palermo, Agrigento, Caltanissetta ed Enna, che ha dato vita a questa nuova “corrente” (molto pratica e poco teorica) dell’agricoltura. Si tratta principalmente di cerealicoltori che denunciano il “falso biologico” e puntano a stanare gli speculatori. «L’agricoltura bioetica – spiega Ambrogio Vario, cerealicoltore, nonché vicepresidente di Slow Food Sicilia – nasce dall’esigenza di conoscere tutti i passaggi dell’alimento nella filiera e cercare di eliminare la chimica in agricoltura. Anche nei processi di conservazione. Durante lo stoccaggio, ad esempio, certi grani biologici vengono trattati con antiparassitari. Pratica diffusa che ne vanifica la biologicità. La stagionalità è perciò un requisito fondamentale, al pari di controlli igienico-sanitari realmente rigorosi. Altro obiettivo è quello di stabilire una relazione fra produttore e consumatore, che si basi sulla conoscenza dei dati economici. L’elemento nuovo che stiamo cercando di introdurre è la trasparenza nella formazione del prezzo». Il concetto è semplice: rendere noto al consumatore finale il costo di ogni passaggio di produzione e la quota di guadagno del rivenditore. Tutto ciò, accanto ad una “carta d’identità” dell’alimento che ne certifichi la salubrità. «Il biologico puro – sottolinea Vario – esiste solo quando l’agricoltore fa una scelta etica: ovvero si astiene dall’uso di sostanze chimiche rispettando la biodiversità. L’attuale meccanismo delle certificazioni è in mano ai privati. Gli organismi certificatori oggi sono disposti a chiudere un occhio perché l’agricoltore paga. Ecco perché i contadini dovrebbero avvalersi di organismi istituzionali, come l’Istituto Zooprofilattico della Sicilia». Convertirsi a questa agricoltura integralista comporta una riduzione delle quantità prodotte. Che non necessariamente fa rima con minore resa economica. L’esempio del grano – “frutto” della terra più di tutti oggetto di speculazioni – è emblematico. «I produttori di frumento regalano un potere contrattuale enorme ai commercianti – sostiene il vicepresidente di Slow Food Sicilia – perché non si occupano dell’intera filiera. Il prezzo del grano sul mercato è in media 25 centesimi al chilo. Prezzo che può lievitare sensibilmente se l’imprenditore agricolo tenta di chiudere le filiere arrivando alla farina o a quello che ne deriva dalla lavorazione. In questo caso, il prezzo del grano può arrivare fino a 80-85 centesimi al chilo, soprattutto se si tratta di grani antichi e non di incroci varietali. Quest’ultimi sono la maggioranza di quelli coltivati». In Sicilia, di grani antichi ne esistono una quarantina: Russello, Gigante, Giustalisa, Perciasacchi, Timilia (o Tumminia) solo per citarne alcuni. La Stazione sperimentale di granicoltura per la Sicilia di Caltagirone li ha recuperati, censiti e messo a punto tecniche agronomiche rispondenti all’ecosistema in cui si opera. Alla diffusione di questi cereali sta puntando anche Slow Food, che ha costituito la comunità “grani antichi”. «Dobbiamo recuperare le varietà autoctone – dice Vario – stabilendo disciplinari di produzione, stoccaggio e conservazione. Unitamente a disciplinari per la trasformazione delle farine in pane, pasta e prodotti da forno. Anche al fine di evitare le vessazioni delle grande aziende di trasformazione. L’aumento di valori proteici e indici di glutine, per rispondere a esigenze commerciali, sono risultati dannosi per la salute delle persone. Il boom delle intolleranze non è casuale». Gli agricoltori bioetici lanciano infine un appello al governo regionale: «Agevoli le scelte etiche strutturando bandi coerenti con le esigenze territoriali per raggiungere l’obiettivo della “Bio-Regione Siciliana”. Ovvero il divieto assoluto nell’Isola dell’uso di sostanze chimiche in agricoltura. Bisogna – conclude Vario – incrementare i contributi integrativi del Psr per compensare i maggiori rischi di chi sceglie l’agricoltura bioetica». Daniele Ditta